Devo ammettere che ormai io e google maps (che chiameremo mappy) siamo una coppia di fatto.
Abbiamo una frequentazione tormentata, fatta di compromessi e incomprensioni, ma dura a morire.
Io, anarchica e dedita al “sesto senso” spesso sono refrattaria alle sue indicazioni perentorie e all’ennesimo imperativo senza alcuna inflessione ma con gli accenti messi a cazzo, la femminista sopita si ribella nel momento più sbagliato e torna dall’altro.
Con questo altro ho una torbida relazione di vecchia data, anche questa a singhiozzo: non sempre si fa trovare, a volte scompare, a volte lo ignoro io.
Ma il vecchio, sgarrupato Cartello avrà sempre un certo effetto su di me. E più è stinto, malconcio e imbrattato di spray più evoca in me quella tenerezza che mi frega sempre.
In fondo se è ancora saldo e piantato lì, sarà affidabile.
Quando mappy mi becca con Cartello, stizzito, emette il suo grigio e cupo ricalcolo. Ma a ogni rielaborazione del percorso io divento più insofferente e, attenzione,: mi gioco la carta “primo che passa”.
E spavalda, come una senza batteria del cellulare o turista krukka, CHIEDO.
Tanto non recepisco alcuna informazione utile. Improvvisamente Annuisco come se abitassi nel quartiere dalla nascita, sorrido come a dire comehofattoanonpensarci, chesbadatella, ma insomma, riaffermo la mia libertà di scelta.
Quindi, un po’ seguendo mappy un po’ il cartello va a finire che non vado da nessuna parte.
Giro come la bambola della Patty Pravo con la stessa prontezza di riflessi e senso dell’orientamento.
Insomma questo pendolarismo morale tra cartello e mappy mi provoca un brivido dietro l’altro, grazie al senso di smarrimento che mi porta a immaginarmi COL BUIO nella periferia più malfamata del paese dietro l’ultimo bus arancione semideserto e #senzabenza, che è un po’ la mia condizione esistenziale da sempre, corretta puntualmente da un padre lungimirante che mi regala il pieno, e me lo comunica immancabilmente ricordando coordinato a scuotimento del capo quella volta a 23 anni che è dovuto venire a prendermi, perché la mia Micra blu elettrico si era inchiodata proprio su un cavalcavia.
E finalmente, quando uscendo dalla macchina con il cellulare in mano sbatto il ginocchio contro il cruscotto e “ringrazio”, arriva google-suocera a ricordarmi le buone maniere.
