R esisto

R esisto
R esisto come sono, come posso, come mi lasciano essere.
R esisto e mi sento salda, tra gente che va e viene, che mi sussurra o mi urla in faccia.
Salda in tempesta, salda in turbine di vento.
Divento di vento, R esisto e mi plasmo.
Gli attacchi li abbiamo respinti tutti.
Tutti?
Non me lo chiedo.
Le minacce fanno parte della natura piccina dell’umano, della capricciosa sorte in dote con il Dna, dei giorni implacabili che si sommano come complessi megalitici o traballanti pietre appoggiate l’una sull’altra.
R esisto come ognuno può e compie, come mi insegna tutto il vibrante attorno.
R esisto come sono, come mi sento e come raccontano.
R esisto perché è l’unico modo in cui so vivere.
Placida e affannata
Che non sa come fa.

Docce

Mi capita quasi sempre sotto la doccia.
Da anni.
Guardo le confezioni dei bagnoschiuma, degli shampoo, dei balsami.
E penso: quante ne avrò già consumate, nella mia vita?
E quante ne consumerò ancora?
Mi capita nella doccia perché si sa che l’acqua calda sulla testa favorisce il ponderare dei massimi sistemi ma succede per ogni cosa: il dentifricio, i litri di acqua, i pacchi di pasta.
Una volta, giuro, sono riuscita a chiedermi, in una tranquilla conversazione con una vegana, (e non era provocazione, semmai una delle mie gaffes involontarie), quanti maiali avessi già potuto mangiare. Me lo ero chiesta in realtà un giorno in autostrada, passando a fianco del classico camion di animali ammassati, dalle cui inferriate intravvedevo un po’ il rosa delle cosce pressante e un po’ il grigio del fango secco sulle loro zampe.
Sebbene sia una visione dolorosa, non ho mai avuto la necessaria forza interiore di rinunciare alla carne. Ma questo è un altro, spinoso discorso.
Penso a volte al ciclo della vita in termini di consumo.
Di oggetti. Quando mio nonno morì e nel suo bagno, nella sua casa a Firenze, osservavo orfani la sua lametta da barba, la sua saponetta lisciata dalle sue mani, mentre la goccia della vasca creava un vuoto sonoro mai notato prima.
Le mattonelle più scolorite, la distanza stilistica abnorme tra quel bagno anni 50 e gli anni 90, in cui navigavo a vista in una adolescenza spesso annegante, anni in cui si iniziavano a vedere i bagni scuri, in simil marmo opaco, con rivestimenti di un metro per un metro, lontanissimi da quei piccoli mosaici azzurri che rivestivano le pareti fino a un metro e cinquanta.
Oppure ho pensato al corpo macchina che consuma cibo, lo espelle, si nutre di nuovo e così via.
L’ho pensato da neo mamma esaminacacche, l’ho provato da malata terminale, quando nel sudario del proprio letto avviene questo ciclo ed è tutto estremamente difficile, e limitato e limitante, e ti chiedi, a un certo punto, se il pensiero, l’intelletto, non siano che contorno, se le emozioni distrazione, con la sensazione, che batte in testa come gocce calde di acqua, che un ciclo inesorabile faccia appunto, il ciclo, senza alcun bisogno della tua opinione e tantomeno del tuo permesso.
Potrei cantare, sotto la doccia.
Anziché immaginare il computo della mia vita come una montagna di elvive, un po’ come i mucchi di occhiali dei campi di concentramento.
Ma non è un’immagine triste eh?
Che già sento bionde sagge cazzianti ( Vale basta pipponi su fb😁😘). No.
Io nell’era della sostenibilità mi impunto e voglio impegnarmi a consumare.
Scarpe per camminare, panetti di burro per torte inventate, occhiali da sole che mi scorderò in giro senza smettere di guardare il sole negli occhi, con la mano davanti, e le rughe che si moltiplicano come i gremlins dopo una secchiata d’acqua

Sguardi

Sfocati, un po’ distratti, danzanti tra affanni quotidiani e smanie di cielo.
Decentrati, imperfetti, canzonati da ragazzini, mai risolti. Immobili nelle paludi di dubbi e mobili nelle tappe di vite non vissute.
Avrei tanto voluto che.
Non ho fatto in modo che.
Macerie o resti?
Archeologia o ecomostri?
Ma abbiamo l’anima antica che spinge gli occhi oltre il disincanto, adduce stupore bambino e silenzio fecondo di immagini tenute per sè, sbirciate, accennate, sfocate come noi.
Sguardi distratti, sguardami adesso,
Dentro e intorno, che siano nubi o stelle, che siano lampi o frecce.

Un mese

Per i miei donatori, a un mese dal retrapianto
Per ogni vita inciampata ed evaporata, per ogni volta aspettata e pregata, per te, che non te lo aspettavi, e hai lasciato la scena più bella, sul più bello.


Per me, che non me lo aspettavo nemmeno io e per entrambi, per tutti i morti che abbiamo avuto negli occhi nelle ultime settimane


Per il tuo respiro infinito che non mi era mai stato permesso
Per la mia pena, per il vuoto nero e senza fine che ne è il prezzo.
Per chi ha deciso che un tuo pezzo di carne si rivolgesse in vita e per tutti noi, dannati ad amare questa vita


Grazie
Per ogni dolore immolato a noi stessi, per ogni fatica e scoramento, miei donatori, sarete in ogni muscolo, in ogni speranza


Per ogni vostro amato io sopporto ogni indicibile supplizio, che arrivi ai loro cuori come miele profumato e che le nostre mani si intreccino nel vento, ogni volta che lo sentiremo necessario

Il paradiso degli utopisti

Grazie a Payrick e Simona che portano Guardami adesso fino al rifugio Genova, sulle Alpi Marittime.


Voglio ancora ringraziare chi crede, soatiene e partecipa al progetto.


Perché Guardami adesso è questo, e basta.
Non un’ associazione, tanto meno una società o una organizzazione gerarchica e rigida.


È un progetto.
Ci autofinanziamo, e se organizziamo un trekking, un cammino o una impresa grande, per mezzi e obiettivi, come quella di Capanna Margherita, è stato, è, e sarà sempre, a totale scopo benefico verso gli enti che ogni volta scegliamo.


Per questo forse, non tutti restano. Per questo, forse, si deludono le aspettative di qualcuno.
Eh, ma cosa ci guadagni? Mi chiedono spesso.
Nulla: in termini puramente di profitto siamo tutti con le tasche alleggerite.


Ma, almeno parlo per me, alleggeriti appunto: leggeri.
Ricchi di risate, di occhi pieni di meraviglia a panorami nuovi, che mai si poteva sperare di raggiungere.
Ricchi di ” ce l’ho fatta “, di impegno che significa dare valore alle promesse, alla propria vita, al proprio, spesso complicato, passato.


Perciò, proprio perché un progetto getta, credo, luce verso il futuro, c’è posto per tutti. Utopisti, rinati, generosi di tempo e di vita, entusiasti.


Perché ognuno di noi credo, ha affrontato qualche angolo buio e ora abbia proprio voglia di dire: Guardami adesso.