Arrenditi Vale Ma Dorothy non si è arresa. E alla fine ha trovato quello che forse cerchiamo tutti, da sempre e per sempre: cervello, cuore, coraggio. Non li trova per sè, ma per le sue ombre. Non li trova nella fattoria degli zii, ma al termine di un lungo viaggio costellato di streghe, avversari, peripezie e dure prove. Un bacio in fronte la rende inattaccabile. Forse per questo va avanti e affronta ogni ostacolo. Chi mi ama non mi dice arrenditi ma Fermati Fermati Vale. Ho anche io, e ho dato, quel bacio in fronte. Tutti lo abbiamo. La certezza di essere amati o la certezza di amare così tanto da credere che un tornado ci possa solo portare nel posto giusto. A volte spaventa di più un vento lento tra le foglie, perché si è armati contro la tempesta e si aspetta, pronti, agguerriti, tesi. E per tutto il tempo, si perde il canto del vento, il ballo lento e annoiato delle foglie nella loro stagione più bella. L’unica che avranno.
Ieri ho ascoltato la quarta puntata di un podcast bellissimo sul camminare, realizzato dalla mia amica Frò Sanzo. Ieri parlava del coraggio di perdersi. Del momento in cui decidi, consapevolmente a volte, di perdere l’orientamento. Sul sentiero, o nella vita. È un atto di grande responsabilità che io, coscientemente, forse non ho mai fatto. Forse perché il senso dell’orientamento è cosa lontanissima da me e vivo il brivido di dover sempre ritrovare la macchina, imboccare una via sconosciuta, ritrovarmi in loop a Cavazzoli senza motivo, praticamente ogni giorno. Quindi non lo vado a fare apposta o non rivedrei più la mia famiglia 😅. Però a volte ho la lucidità di spostami. E lo annuncio, per timore che mi si lasci scivolare nell’oblio e nell’abitudine della assenza. Guarda, mi sto spostando. Ehi, ti tiro per la giacchetta, mi metto di fianco. Scusa, vllevo dirti che mi metto un attimo qui, magari non dovessi trovarmi subito. Per il dispiacere di perdere le persone resto nei paraggi. In un angolo, come a dire: mi vedi ? Resto qui, se vuoi ci sono. Una vigliaccata, una debolezza spacciata per lucida centratura. Una mollezza che ho accolto e a cui ho creato spazio, significato. La reazione tiepida, la non reazione, l’indifferenza ho imparato a gestirle, forse contemporaneamente all’abitudine a stare tanto con me. Un’ incapacità di andare lontano, o forse, proprio perché sono stata lontanissimo, gironzolo nei paraggi e lascio ogni porta socchiusa, senza chiavi, senza neppure concepire il gesto di abbassare la maniglia. Non devi neppure bussare, per trovarmi. Basta affacciarti. Anche in ospedale volevo sempre la porta aperta. Prima perché ero convinta che se avessi avuto una crisi, nonostante il monitoraggio degli schermi preposti nella semi intensiva, nessuno se ne sarebbe accorto o lo avrebbe fatto troppo tardi. Forse non pensavo di valere una corsa. Poi, banalmente, per solitudine. Il via vai del corridoio mi illudeva di essere parte di qualcosa di vitale, indaffarata, veloce routine di reparto. Piedi in movimento contro immobilità. Quindi non credo mi perderò, non fino a quando non avrò il coraggio di tornare a camminare da sola, non fino a quando saprò che la gamba potrebbe farcela e le risorse per ritrovare la strada andrebbero solo ripescate da qualche parte dentro un intreccio di consapevolezze e illusioni che sta ancora formando la sua trama. Intanto gironzolo, guardo cartine senza capirle, ma riesco sempre a guardare il cielo, in loop.
Il colore è diverso ma sei tu, ora opaca, inutile e abbandonata. La colpa è tua, e di un trattore.
Non mi ricordo quale dei due sia comparso prima nella mia vita di bambina a caccia di avventure. Ma ti riconosco ed ora mi fai tenerezza, così inservibile.
Inservibile come spesso mi sono sentita io, negli anni. Sempre troppo tardi però, ma ho capito quanto fosse una bugia, un enorme abbaglio.
È successo un pomeriggio, a Marina di Massa. L’estate del campeggio, quella della mia ripresa dopo un intervento, a sei anni. Con mamma, papà che veniva il fine settimana, Giovanna e Camillo, la mia seconda famiglia, e Rolf, il pastore tedesco che era il mio unico amico, avendo il pregio, forse l’unico, agli occhi di mia madre e il meno importante ai miei, di non essere portatore di raffreddori e influenze.
Il campeggio era un insolito bacino di amicizie e scorribande finalmente libere, per me. Ma quello che seguivo più spesso era pur sempre Camillo, che era solito ogni pomeriggio, verso le sei, fare un giro con la sua piccola barca.
Identica a questa: l’aveva trasportata sopra il tetto della sua vecchia macchina marrone. Un pomeriggio, dalla spiaggia, ha proposto di portare a pescare anche me e un bambino, di un paio di anni più grande, che spesso giocava con me. Io però non sono potuta salire.
Perché? “Perché sei una femmina Dai, sono cose da maschi.” Mi ha liquidata, corredato dalla faccia sorniona del bimbo improvvisamente antipatico. Credo di aver avuto una delusione, consapevole per quanto mi concedessero i miei ovattati sei anni. Consapevole e incomprensibile perché era una ragione che sfuggiva al mio seppur povero carnet di spiegazioni.
In realtà mia madre aveva semplicemente messo in atto la sua proverbiale ansia, immaginifica di cadute, annegamenti e scenari catastrofici che sharknado scansate. Ma questo lo avrei realizzato molti anni dopo. In quel momento mi sono sentita l’esclusa. La discriminata.
La stessa cosa è accaduta una mattina, poco tempo dopo, quando mio cugino andò a fare un giro sul trattore del suo amico Robertino, vicino di casa delle estati in Appennino, tra animali e colline da scendere sdraiati per far girare la testa.
Robertino era un supereroe e il suo potere più eclatante era, appunto, il trattore di famiglia. Successe ancora. Io correvo zampettante dietro questa figura mitologica che era mio cugino (che era quello che rubava gli accendini e le uova delle galline per cucinare DAVVERO con i miei pentolini di plastica, che ogni volta diventavano lava incandescente e assumevano forme irrimediabili, prima di deliziare i palati con le uova più bio e al contempo più cancerogene possibili) e arrivava un altro no, da quel trono altissimo e rumoroso.
La stessa spiegazione. Non “sei piccola”. Che era un fatto, certamente plausibile. “Sei una femmina”. Ancora ha riecheggiato l’inadeguatezza. Probabilmente è uno scenario comune alle bambine degli anni 80. La cosa buffa è che non sono ancora salita su una barca come quella, né su un trattore. Non ho ingaggiato battaglie per principio e raramente mi sono sentita discriminata. Né per essere donna né disabile. Ma resta, forse, il vestito dell’esclusa a prescindere, della diversa, dell’eccezione.
Ma Dorothy non si è arresa. E alla fine ha trovato quello che forse cerchiamo tutti, da sempre e per sempre: cervello, cuore, coraggio.
Non li trova per sè, ma per le sue ombre.
Non li trova nella fattoria degli zii, ma al termine di un lungo viaggio costellato di streghe, avversari, peripezie e dure prove.
Un bacio in fronte la rende inattaccabile. Forse per questo va avanti e affronta ogni ostacolo. Chi mi ama non mi dice arrenditi ma Fermati Fermati Vale. Ho anche io ho, e ho dato, quel bacio in fronte. Tutti lo abbiamo.
La certezza di essere amati o la certezza di amare così tanto da credere che un tornado ci possa solo portare nel posto giusto.
A volte spaventa di più un vento lento tra le foglie, perché si è armati contro la tempesta e si aspetta, pronti, agguerriti, tesi.
E per tutto il tempo, si perde il canto del vento, il ballo lento e annoiato delle foglie nella loro stagione più bella. L’unica che avranno.
Grazie al mio carattere, a un discreto culo e alle persone che hanno l’estremo coraggio di starmi vicino, ho portato la pellaccia fino qui.
Non ho usato il tono di Trilly nemmeno con mavi neonata ( anche perché l’effetto vocale sarebbe stato più o meno quello di michelle serrault ne il vizietto).
Ho il gigantesco difetto di dire ciò che penso nel momento in cui mi arriva e non ho una grande considerazione dei filtri, se ho davanti persone strutturate a poter sostenere un confronto di idee.
Non mi piacciono i rapporti minuetto, i convenevoli, soprattutto non amo le frasi riportate, rinsaccate, smozzicate, rimangiate.
Sono capace di tutto se credo in una idea, in un amore, in una amicizia.
Lo sono per sempre.
Ma ho visto molte spalle e non posso che prenderne atto.