Tu, e il mondo

Non ho fretta, sai, di mandarti nel mondo.
Ho avuto una incontenibile necessità di mostrartelo,spiegartelo, e ancor prima la egoica felicità che il mondo, finalmente, vedesse te. La tua bellezza, la tua unicità.
Ma poi, più cresci, più di questo mondo vedo luoghi inospitali, pericoli e insidie su cui io stessa anni fa saltellavo sprezzante.
Non la tua bellezza, non la tua unicità ti salveranno, anzi.
Non le mie braccia mai abbastanza lunghe non il mio sguardo vigile ma inevitabilmente miope.
Questo mondo è già più tuo che mio e resta la sensazione di far entrare un casa ospiti senza prima aver pulito, o non aver spiegato bene l’indirizzo.
Ti immagino grande, ancora più grande e ancora più lontana ed è un sentimento che non trovo nel mio gonfio portafoglio di emozioni.
Chissà magari i giapponesi o gli svedesi hanno coniato questa parola.
Chissà magari la troverai nelle lingue che studi.
Oppure troverai il suo significato contrario, mentre allontanandoti sicura, ondeggiando la tua chioma inconfondibile ti volterai un attimo, per salutarmi con un sorriso, solo perché saprai che lo starò aspettando.

La vergogna antica

Sull valore della vergogna ci ho costruito tutta la mia percezione, e ci ho fondato la felicità della accettazione, arrivata da grande, forse da troppo grande.arrivata prima a me, forza propulsiva da dentro e poi, come un incantesimo che non sempre funziona, non sempre realizza il lieto fine, agli altri. Gli altri. Un altro pianeta per molta parte della mia vita
Oggi la società del body positive, sacrosanta e giusta, per carità, che spero risparmi della ferocia questa adolescenza 2.0, un po’ appiattisce e semplifica. Un po’ tira via, facciata buona degli asterischi poi chissà che non ci sia ancora l’eco dei sussurri delle risate sotto le mani a coppa, delle osservazioni spietate nelle orecchie giuste, altrettanto assetate di giudizio per elevarsi, per sentirsi salvi.
Rivendico la mia ‘adolescenza muta. Nessuna salvezza, nessun privilegio, nessuna inclusione. Forse, a volte, concessione. Intercessione.
Anni ai margini.
Rivendico la tosse, il dolore, l’esser invisibile, grassa, malata e, di conseguenza, timida. Ma mai invidiosa, tanto ero troppo diversa. Inconfrontabile.
E viva le persone egocentriche. Non possono ferire per togliere o punire. Semmai feriscono per indifferenza o distrazione.
Rivendico lo sguardo dal margine, il cognome straniero, i tratti somatici non sei di qui, vero?
Che vuole dire non sei dei nostri.
Hai una stortura, un fuori posto, un indizio, un sospetto.
Si vede.
E se non si vede si percepisce, che forse è peggio.

Rivendico il non essere stata nessuno, rivendico la capacità di vedere tutti migliori, tutti amabili e perciò amati.
Poi chissà.

Eh ma tu sei speciale
Tu sei profonda
Come scrivi bene
Inezie
Tutte vogliamo la mela, tutte la bellezza, un corpo conforme.
Molti, troppi anni dopo avrei davvero compreso che mi sarei dovuta occupare di un organismo, più che di un corpo.
Eppure il corpo è ciò che rivendico. Un corpo che comunque, per quanto imperfetto e sgraziato, ha dato vita e l’ha ricevuta nella maniera più bassa e più alta, più atroce e divina.
Non vorrei oggi, essere stata l’ammirata senza sforzo, la invitata senza ingegno, la rincorsa senza ironia.
La mia adolescenza è stata una fabbrica di personalità, a turno continuo,,senza scioperi,senza ferie, senza permessi premio.
Lo sguardo indietro ora è tenero e indulgente, forse non ancora scollato, forse non del tutto riappropriato.

12 anni