Non di sole scorie è fatto un respiro già respirato. Ma di anima in rarefazione, di condensa, di soffio, mentre dormiamo naso contro naso. Inspiro il tuo espiro, vivo di un respiro usato, che è già stato vita, che è già stato battito. Ma è il mio motore. Aria scaldata che mi faccio bastare pur di spiare i tuoi occhi chiusi. Come ora, come ogni giorno, quando ti aspetto. Il mio respiro usato è un vento sottile di fiato, passato attraverso un corpo il tuo corpo, il tuo sonno forse il tuo sogno che diventa il mio. La parte migliore l’ho pur sempre ricevuta in dono.
Sei riposo dopo una corsa, sei respiro che finalmente rallenta Fiamma che infine pensa a se stessa e si regala brace, fumo sparso dono esclusivo a chi sta accanto Sei penombra ad occhio ferito di luce, che non sempre si vuole accecarsi. Sei panchina in un lungo viale, orizzonte contemplato e non scorso. Sei miele sciolto lentamente nel the, giorno vicino al suo meritato congedo, socchiudere gli occhi, quell’istante impagabile di membra rilasciate, accolte, indifese. Sei cancello aperto su giardini per ogni occhio, ogni cuore. Esclusiva accoglienza, fiducia viva in quiescenza
R esisto R esisto come sono, come posso, come mi lasciano essere. R esisto e mi sento salda, tra gente che va e viene, che mi sussurra o mi urla in faccia. Salda in tempesta, salda in turbine di vento. Divento di vento, R esisto e mi plasmo. Gli attacchi li abbiamo respinti tutti. Tutti? Non me lo chiedo. Le minacce fanno parte della natura piccina dell’umano, della capricciosa sorte in dote con il Dna, dei giorni implacabili che si sommano come complessi megalitici o traballanti pietre appoggiate l’una sull’altra. R esisto come ognuno può e compie, come mi insegna tutto il vibrante attorno. R esisto come sono, come mi sento e come raccontano. R esisto perché è l’unico modo in cui so vivere. Placida e affannata Che non sa come fa.
Alla fine del sentiero non conterò i passi, non il tempo trascorso, nè la distanza. Non saranno i numeri ad abitarmi. Sarà l’abbraccio tra i miei occhi e il cielo. Sarò scomposta e ricreata di niente, eco del vento, risposta perduta in tutto questo verde. Per poi scoprire che il sentiero non finisce mai.
Assolvete Quelli che credono alle proprie bugie Sorridete agli impulsivi, agli entusiasti, ai perduti, agli smarriti. Deridete piuttosto i certi, biasimate i retti di facciata, allontanate i gentili per calcolo, i giusti per contratto. Assolveteci, noi migranti in affanno indientro nello stormo, Che ci perdiamo nel cielo, che ci attardiamo a farci illuminare da luci deboli o infuocate. Tornate a prenderci o lasciateci alla corrente impietosa. Il cinismo è già nelle nostre ali, sappiamo che uno sguardo può condannarci. Ma guarderemo lo stesso dritti il sole, o un campo rigoglioso di vermi, un ballo di vento. Seguiamo la rotta che possiamo, non quella che sappiamo.
E’ esistito un tempo in cui accadeva che la realtà mi trapassasse come una lancia. Questo attraversarmi lasciava briciole di materia scagliarsi intorno e crollare a terra, come pioggia di minuscole meteoriti incandescenti. Chi assisteva racconta di uno spettacolo tenero. Io ne ricordo il dolore incandescente, i buchi e il fumo e il nero e la puzza di carne che non sarà mai più. Ora ho scudi di cuoio per le parole, armature d’acciaio per le azioni e allarmi affinati per la malafede. Mi resta la capacità di un balzo se sfoderano spade o mal che vada, la sapienza antica di curare e coltivare cicatrici. Non escludo di lacerare armature e abbassare scudi. Capita che arrivi ancora qualche lancia e che non sia preparata a prevederla, o a schivarla o a pararla. E come conterranei in terra straniera, intercetto i trafitti, nella stessa lingua inventiamo parole balsamiche, con gli stessi gesti cuciamo e ricamiamo lembi di pelle e di cuoio. Lascio questo anno stanco come un mantello, costellato di strappi, con le sue macchie di sangue e di fango ma amorevolmente incorniciato, ed esposto nella stanza dei trofei. Lascio questo anno di morte e di vita come una tavola sparecchiata, disordinata, con avanzi di meteoriti e granelli di lucenti sorrisi. Briciole di risate cristalline, piccole pozzanghere di lacrime annidate nei calici, segni di unghie sulla tovaglia scomposta, tracce di basico godimento, di nutrimento gioioso, di bocconi amari. Lascio questo anno, che per convenzione umana sta terminando e mi tengo stretta il tempo, lo abbraccio e lo scaldo, lo coccolo come un neonato, mai stanca, pronta a una culla eterna e mi prometto: mai distratta. Vi auguro desideri. Immaginarli, riconoscerli e toccarli, prima di realizzarli. Infinitamente piccoli in questo universo, ma maestosi con se stessi.