E’ esistito un tempo in cui accadeva che la realtà mi trapassasse come una lancia.
Questo attraversarmi lasciava briciole di materia scagliarsi intorno e crollare a terra, come pioggia di minuscole meteoriti incandescenti.
Chi assisteva racconta di uno spettacolo tenero.
Io ne ricordo il dolore incandescente, i buchi e il fumo e il nero e la puzza di carne che non sarà mai più.
Ora ho scudi di cuoio per le parole, armature d’acciaio per le azioni e allarmi affinati per la malafede.
Mi resta la capacità di un balzo se sfoderano spade o mal che vada, la sapienza antica di curare e coltivare cicatrici.
Non escludo di lacerare armature e abbassare scudi.
Capita che arrivi ancora qualche lancia e che non sia preparata a prevederla, o a schivarla o a pararla.
E come conterranei in terra straniera, intercetto i trafitti, nella stessa lingua inventiamo parole balsamiche, con gli stessi gesti cuciamo e ricamiamo lembi di pelle e di cuoio.
Lascio questo anno stanco come un mantello, costellato di strappi, con le sue macchie di sangue e di fango ma amorevolmente incorniciato, ed esposto nella stanza dei trofei.
Lascio questo anno di morte e di vita come una tavola sparecchiata, disordinata, con avanzi di meteoriti e granelli di lucenti sorrisi.
Briciole di risate cristalline, piccole pozzanghere di lacrime annidate nei calici, segni di unghie sulla tovaglia scomposta, tracce di basico godimento, di nutrimento gioioso, di bocconi amari. Lascio questo anno, che per convenzione umana sta terminando e mi tengo stretta il tempo, lo abbraccio e lo scaldo, lo coccolo come un neonato, mai stanca, pronta a una culla eterna e mi prometto: mai distratta.
Vi auguro desideri.
Immaginarli, riconoscerli e toccarli, prima di realizzarli. Infinitamente piccoli in questo universo, ma maestosi con se stessi.
